La crisi è finita

Vicini alla spazzatura

Sembrerebbe quasi che gli istituti di ricerca e di statistica abbiano ritrovato un feeling con il governo che ricordavamo solo negli anni ‘80. L’Istat ad esempio è oramai in prima linea con i suoi dati per spiegare che la situazione del Paese sia quasi ottimale. Guardate la fiducia di famiglie e imprese, i consumi, le esportazioni, l'occupazione, gli investimenti, appaiono tutti in leggero miglioramento. La "grave deprivazione materiale" sembrerebbe già alle spalle. Ci si aggrappa a questo più 0,3% del primo trimestre dell’anno in corso, come un elefante su un precipizio si aggrappa con la proboscide per non caderci dentro. il Rapporto Istat 2015 mostra un Paese che già dagli ultimi mesi dell'anno scorso emerge dalla crisi. Ovviamente all’Istat non hanno la faccia di Saccomanni ed altri ministri del governo Letta di mettersi a dire che la crisi è finita, e nemmeno la sicumera di Monti che vedeva la luce in fondo al tunnel. Stanno accorti. Per cui parlano di segnali non uniformi: gli occupati sono 88.000 in più, ma insomma i livelli precrisi sono ancora molto lontani, la disoccupazione è durata troppo a lungo e se i segni di crescita si concentrano nel Centro e nel Nord, il Mezzogiorno sprofonda. E comunque puntano ad indicare come la situazione si stia evolvendo positivamente. Non che sia facile comprendere questa predisposizione ottimale dai rapporti prodotti. Ad esempio, vedi l’analisi delle imprese, che restano si della dimensione tale da collocarci agli ultimi posti in Europa e però nel 2014 un'impresa su due del settore manifatturiero, ha aumentato il fatturato totale di almeno lo 0,8 per cento. In particolare il fatturato interno è aumentato per la prima volta da oltre tre anni. E così via in chiaro scuro. Non si capisce come mai le agenzie di rating restino ancora insensibili a questi progressi. Standard & Poor’s ci ha declassati nel 2013, governo Letta e ancora lascia fermo il rating italiano a BBB-, un gradino sopra il livello “junk”. È una valutazione questa dell’agenzia completamente diversa da quella dell’Istat o dell’Inps ed altre che elaborano dati. S&P è molto più politica nel giudizio e confida sulla scarsa pazienza dei mercati. Quella con il governo Renzi si sta comunque esaurendo, perché le riforme annunciate non si vedono. Standard & Poor’s scrive che potrebbe promuovere l’Italia “se il governo realizzasse integralmente riforme strutturali”, e questo è quello che conta mentre un rimbalzo dello 0,3 del Pil, può essere pura congiuntura. Tanto è vero che oggi come oggi si potrebbe anche tagliare il rating, riducendolo a spazzatura, se persistessero le rigidità nel lavoro e nei mercati dei prodotti e servizio, per non parlare di un mancato consolidamento di bilancio o degli obiettivi fiscali. L’Italia la capiscono meglio all’estero che all’interno.

Roma, 20 Maggio 2015